Il tabacco
“Di tabacco si muore” sostiene la scienza; “Di tabacco si vive” (o meglio si viveva!) affermava la gente della Valbrenta. Questo tratto di valle, circondata dalle pareti rocciose del Massiccio del Grappa e dell’Altipiano dei Sette Comuni, offre immagini caratteristiche e poetiche con tutta una serie di borgate allungate sulle sponde del fiume Brenta. La vita quassù non è stata mai facile! La struttura fisica della Vallata del Canale di Brenta è tale per cui è azzardato parlare di economia strutturata e di coltivazioni intensive. Si strappava alla terra il pane ed il “companatico” necessario con metodi tradizionali ed essenziali. Il bestiame trovava di che alimentarsi con il fieno colto sugli erti pendii e nelle malghe; con il legno dei boschi montani, affidato alla corrente del fiume, viveva la maggior parte dei paesi del Canale. L’impetuoso e talvolta bizzarro e minaccioso fiume offriva la forza motrice per gli opifici. A rivoluzionare la povera economia della Valle arrivò, nella seconda metà del Seicento, una pianta esotica: il TABACCO. Della plurisecolare coltivazione, oggi quasi estinta, rimane il ricordo nei caratteristici terrazzamenti sostenuti con “muri a secco” e denominati “masiere” che si innalzano sui pendii delle montagne fino a 400-500 metri sul livello del Brenta. Si continua oggi, su qualche fazzoletto di terra, a coltivare il tabacco, ma a fondo valle, più vicino alle abitazioni, dove la fatica è minore. Per secoli dalla coltivazione del tabacco e dal suo contrabbando la gente del Canale di Brenta aveva ricavato quel minimo che le garantisse almeno la sussistenza. Le vicende legate al contrabbando del tabacco nel Canale di Brenta sono una memoria storica che rischia ormai di essere rimossa dal ricordo e dalla stessa cultura della gente valligiana. Abbandonata definitivamente la coltivazione del tabacco e, con l’andar del tempo, passati a miglior vita i nostri anziani tenacemente legati alla terra e alle sue secolari tradizioni, le nuove generazioni sembrano destinate a dimenticare facilmente storia lontana e recente degli avi e le loro fatiche quotidiane, incalzate da una radicale trasformazione delle abitudini di vita e da condizioni socio-economiche in rapida e frenetica evoluzione. Eppure anche la figura del contrabbandiere, strettamente vincolata alla coltura del tabacco e ancor più all’estrema povertà della gente valligiana, fa parte di una epopea storica che merita di essere ricordata e tramandata. E’ la mentalità tipica del contrabbandiere, fortemente radicata nei “canaloti” e nei montanari dei territori contigui, ad essere parte integrante del tessuto sociale di questa gente, che fin dalle epoche più remote ha saputo prima adattarsi e convivere con questa “mala terra”, aspra e selvaggia, poi ad industrializzarsi in mille maniere, legittime o meno, per sopravvivere. Con le prime attività colturali e quindi artigiane e commerciali, la nostra gente si avvia piano piano a praticare forme di commercio al limite della legalità. Fin dal 1500 e nei secoli successivi, i “canaloti” commerciavano in legname, carbone, “biade”. E in piena guerra di Cambrai, pur confermando la loro piena e provata fedeltà alla Serenissima Repubblica di Venezia, fornivano di varie mercanzie le genti della pianura e della città, e oltre confine trafficavano con le popolazioni trentine e con gli stessi emissari dell’imperatore Massimiliano I. Tutte vicende ed avvenimenti che narrano di una storia infinita, durata secoli, fino alla Grande Guerra e oltre, concludendosi nel secondo dopoguerra. Fatti che parlano di condizioni di vita estremamente difficili, di una gente che ha conosciuto la miseria, la fame e la disoccupazione e per questo costretta ad abbandonare in successive emigrazioni di massa la propria terra, amata sempre e mai odiata, sognando altrove benessere e ricchezza. Nemmeno disastrose e tragiche “brentane” sono riuscite a sradicare dalla propria valle queste genti e chi è andato lontano ha portato con sé, tramandando di generazione in generazione, lingua, cultura, tradizioni, storia e religione. Al periodo più recente, quello del dopoguerra, sono pure legate le vicissitudini di tante donne, sole ad allevare una prole numerosa, perché i mariti in terra straniera lavoravano o cercavano fortuna. Con un carretto, chi poteva, di solito con una malandata bicicletta o anche a piedi, scendeva nella fascia pedemontana e alla pianura, a Bessica di Loria, a Castelfranco, a Scaldaferro, a Pozzoleone e oltre, contrabbandando il tabacco e risaliva con un sacco di farina o altri generi di prima necessità. Oppure percorreva la Valsugana in treno o con mezzi di fortuna raggiungendo Borgo, Levico, Calceranica, Pergine e Trento per riportare a casa qualche manciata di fagioli ed altre mercanzie. Tutte cose estremamente necessarie per sopravvivere alla meno peggio o semplicemente per tirare a campare. Altre scelte non erano possibili!