Descrizione Grotte
Passiamo ora a descrivere una ad una le Grotte di Oliero. La descrizione del Covol dei Siori è stata divisa in tre parti: la parte turistica, quella sommersa e i rami alti mentre per le altre cavità tale distinzione non ha senso. Le descrizioni delle parti sommerse sono state fatte in base alle notizie e ai rilievi effettuati dagli esploratori che ne hanno percorso le parti più interne. È bene chiarire che le condizioni in cui si effettuano le esplorazioni subacquee sono piuttosto critiche e quindi le descrizioni che i sommozzatori fanno delle grotte sono talvolta imprecise.
La parte turistica
L’ingresso si presenta di forma rettangolare di circa 3 metri di altezza e 12 di larghezza e sul fondo scorre copioso il fiume Oliero. Risalendo il fiume per 20 metri ci troviamo di fronte ad un laghetto che sprofonda per 13 metri. Da questo laghetto, alimentato dal sifone sottostante, fuoriesce l’acqua che forma, assieme alla sorgente del Covol dei Veci, il fiume Oliero. Superato con la barca il laghetto, nelle cui acque si specchiano stalattiti e festoni che ricoprono le numerose nicchie e camini poste sul soffitto della grotta, sbarchiamo sul molo interno e ci troviamo davanti ad una grande spaccatura (Crepo dee Soree) da dove, un tempo, usciva l’acqua del fiume Oliero. Continuando giungiamo alla Sala della Colata dove un’enorme colata calcarea copre una parete della sala.
I rami alti
Nella parte alta della Sala della Colata, a 20 metri dal suolo, si aprono i Rami Alti che sono percorribili per 150 metri e che si dividono in due: Ramo Fossile e Ramo dei Pantani. Dopo aver percorso 20 metri di cunicolo largo 3 m. e alto 0,80 m., siamo nella Sala delle Candele. Una miriade di stalattiti pendono dal soffitto e altrettante stalagmiti si elevano dal pavimento. La loro particolare forma ha ispirato a G. Abrami il nome a quel tratto di grotta. A sinistra, preso il Ramo Fossile, si arriva alla Saletta Amadio, così chiamata in onore del compianto Amadio Negrello, primo presidente del G.G.G. Anche qui si possono ammirare le più svariate concrezioni e depositi calcarei sotto forma di stalattiti, stalagmiti, eccentriche, capelli d’angelo, vaschette e festoni. La parte terminale chiude con una sezione di 1 metro di base e 3 di altezza. Sul pavimento sabbia e fango. Il ramo di destra o Ramo dei Pantani, si chiama così per la presenza di fango sul pavimento. Il ramo si raggiunge percorrendo un cunicolo scavato artificialmente nel fango. Superato questo passaggio, intercettiamo il Ramo dei Pantani. Si avanza carponi per alcuni metri, dopo 20 metri si arriva in una sala alta 2 m. larga 10 m e lunga 10 m. Anche qui sono numerose le stalattiti e le stalagmiti che, unendosi, spesso formano delle colonne. Qui termina la parte percorribile della grotta, anche se da qui si dipartono numerosi cunicoli di piccole dimensioni.
La grotta Covol dei Veci
La grotta si apre alla base di un paretone di roccia verticale alto una settantina di metri. Si inizia con un grande covolo la cui volta imponente si innalza per una ventina di metri, sul soffitto del covolo sono presenti dei camini ciechi che risalgono per pochi metri. Il soffitto è decorato da edere che pendono fino a sfiorare il pelo dell’acqua. Sulla destra, percorrendo con molta prudenza una stretta cengia, ci si può inoltrare per qualche metro all’interno del covolo senza bagnarsi e vederne l’interno, mentre ciò riesce più facile e meno rischioso stando sulla sinistra del covolo, dopo aver attraversato il corso dell’Oliero sul ponticello della diga e dopo aver percorso un tratto del parco. La base di questo maestoso cavernone è invasa dall’acqua che forma un bellissimo laghetto coperto, l’acqua può presentarsi ferma, in periodi di secca, o tracimante dai sassi che coronano il laghetto quando la grotta è in attività. Il fondo del laghetto è inizialmente profondo circa 3 m. ed è completamente cosparso di grossi massi di crollo, provenienti da una imponente frana che, proveniente dalla Valleranetta, nel 1936 ha invaso sia il bacino dell’Oliero che il Covol dei Veci, modificando l’aspetto di entrambi. Immergendosi si scende lungo un primo conoide di ghiaia mista a sabbia più fine e facile ad intorbidire l’acqua al passaggio, a -9 m. la poca luce naturale che riesce a fendere la prima parte del laghetto, scompare e davanti la grotta si immerge in profondità verso il buio. Proseguendo si passa attraverso un passaggio verticale delimitato sia a destra che a sinistra da roccia viva, qui si possono osservare strane forme di erosione chimica che si presentano come piccole scalfitture. Questo passaggio è il punto più stretto della grotta, pur essendo largo circa 3 metri. Superato questo passaggio, a -32 m. di profondità la condotta si espande divenendo larga circa 20 metri ed alta 12. La prima cosa che si nota è un grosso masso di conglomerato, proveniente dalla frana esterna. È questa la zona dove è più facile avvistare il Proteo, nel corso di alcune immersioni fortunate ne sono stati avvistati contemporaneamente tre esemplari. A questo punto comincia anche il grande conoide di ghiaia. Si tratta quasi sempre di ghiaia fine, con pezzettatura di circa 1-2 centimetri, sulla destra della condotta la ghiaia è abbastanza lavata, anche se pinneggiando si sollevano facilmente delle sospensioni. Sulla sinistra invece, dove la corrente è evidentemente meno forte, si trovano fanghi e numerosi resti, anche voluminosi, di vegetali precipitati all’interno della cavità con la frana del ’36. Proseguendo in profondità, sempre lungo il conoide di ghiaia, si arriva a -40 m. , dove si trova un ferro ad “U”, immerso nella ghiaia, è il cosiddetto “ancorotto”, anche in questo caso si tratta di materiale pervenuto con la frana. L’ancorotto costituisce sempre un riferimento per i sommozzatori e una tappa di controllo delle attrezzature e dell’immersione oltre che un comodo punto di fissaggio per le sagole. Il conoide di ghiaia prosegue fino a -50 m., dove al finire della ghiaia compaiono enormi massi arrotondati che formano il fondo della condotta fino alla profondità di -55 m., punto più profondo della prima parte della cavità e che solitamente costituisce il limite delle immersioni sportive. Anche in questo punto si può, con un po’ di fortuna, avvistare il Proteo o anche un altro insolito frequentatore di queste zone che è il marsone che ha il coraggio di spingersi così in profondità e all’interno. Non è raro trovare anche qualche trota e per un certo periodo è emersa la preoccupazione che le trote potessero rappresentare un pericolo per la sopravvivenza del Proteo, gli avvistamenti successivi hanno dimostrato che si trattava di una preoccupazione infondata. La galleria prosegue, sempre con dimensioni colossali verso l’interno della montagna serpeggiando e mantenendo grossomodo la direzione sud-ovest. Il massimo di profondità lo raggiunge a circa 600 metri dall’ingresso fino al limite di -59/-60 mt., poi prosegue sempre in salita fino a riemergere dopo 2400 metri. Secondo le descrizioni che ne ha fatto Olivier Isler la grotta prosegue all’asciutto lungo una condotta rotonda.